Cieli d’acciaio - Liliana D'Angelo

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Cieli d’acciaio è la storia di tre ragazzi, Sandra, Giulio e Carlo, che vivono a Napoli durante gli anni della guerra civile che scoppiò in Italia dopo la firma dell’armistizio dell’otto settembre 1943 con gli alleati. E’ un omaggio alla mia terra e alle mie radici. E a mia nonna, che di Napoli aveva il temperamento e la passionalità.
La prima parte è incentrata sugli avvenimenti che videro i napoletani protagonisti delle 4 giornate di Napoli, giorni cruciali in cui la città lottò senza risparmiarsi per cacciare fascisti e tedeschi, giorni in cui nessuno si tirò indietro, nemmeno le donne e i bambini.
In Cieli d’acciaio anche i tre giovani protagonisti combattono in prima fila, ognuno a modo suo, ognuno con le proprie idee, la propria fede in qualcosa. Cercano disperatamente di sopravvivere alle bombe, agli attacchi armati, alla violenza delle Camicie nere, ma anche alle spie disseminate in ogni angolo della città.
La seconda parte li vede spostarsi con mezzi di fortuna e tra mille pericoli verso il Nord, attraverso un’Italia non ancora liberata, brulicante di soldati nemici, alla ricerca del padre e del fratello di Giulio che sono stati catturati e condotti in un campo di prigionia alle porte di Milano.

Una storia di emozioni estreme, come l’odio, l’amore, l’invidia, il desiderio di vendetta, l’altruismo. Perché nei momenti più drammatici non c’è posto per i sentimenti fiacchi, e la vita ti impone delle scelte a volte devastanti.
Incipit
1. Uno scontro fortuito
Sandra si stava allacciando le scarpe quando suonò la sirena della contraerei’. La sua testa scattò all’insù e per qualche secondo s’immobilizzò, fino a che la voce di sua madre non la spinse a scollarsi dalla sedia e a precipitarsi sulle scale. Fuori c’era il sole, era aprile e l’aria cominciava a farsi calda. Sandra d’istinto guardò il cielo: era ancora azzurro, solcato da qualche nuvola di passaggio, ma tra un po’ avrebbe cambiato colore: sarebbe diventato come acciaio, scuro e minaccioso, macchiato dal fumo e dalla polvere che si sarebbero sollevati dalle case colpite dalle bombe. Quella guerra aveva sporcato tutto, perfino il cielo, pensò, mentre raggiungeva il rifugio più vicino e scendeva insieme agli altri in quell’ambiente scuro e maleodorante. Era da due anni che Napoli veniva bombardata pesantemente e la gente per salvarsi correva a rifugiarsi nei ricoveri, ma quelle scure gallerie sotterranee li proteggevano davvero? Qualcuno alle sue spalle la spintonò e Sandra inciampò nell’ultimo gradino. Se due braccia non l’avessero afferrata sarebbe caduta faccia a terra. «Vieni» le disse un ragazzo. «Allontaniamoci da qua.» Sandra cercò con gli occhi sua madre. Dov’era? Nella calca l’aveva persa e adesso cercarla era inutile, perché c’erano troppa confusione e poca luce e quelle maledette bombe che stavano per arrivare. Trovò posto insieme al ragazzo in un angolo e si accucciò a terra, tirandosi le ginocchia al petto. «Eccole eccole! San Gennà, pensaci tu!» gridò qualcuno nell’oscurità, mentre sopra di loro – chissà dove – interi palazzi venivano sventrati. Ci fu un parapiglia verso l’entrata e altra gente arrivò a rotta di collo, coperta di polvere e calcinacci, le facce bianche, gli occhi pieni di tenore. Uno di loro, spinto dagli altri, fermò la sua goffa corsa addosso a Sandra, spingendola contro il muro. Poi ci fu un’onda d’urto tremenda e tutto tremò, il nuovo venuto fu sbalzato all’indietro e stavolta fu Sandra a cadergli addosso. In pochi istanti il ricovero si riempì di fumo e l’aria diventò irrespirabile, si sentivano bambini che piangevano, gente che tossiva, persone che chiamavano i propri cari. Sandra si portò una mano davanti alla bocca e tossì, cercando di rialzarsi, ma le gambe le tremavano e ricadde a terra, mentre entrambi i ragazzi la tiravano su. «Ci sono mia madre e mio fratello qua dentro» disse. «Devo trovarli, Mattia é piccolo, ha solo due anni, sarà spaventato. Stavolta é stato tremendo.» In quel momento suonò la sirena del cessato allarme e tutto il ricovero parve calmarsi. Si sparse dovunque un brusio liberatorio e cominciò il lento reflusso verso le scale. «Usciamo anche noi» disse il tipo che era entrato per ultimo; poi toccò Sandra su una spalla: «Stai tranquilla, staranno salendo anche loro.» A fatica si fecero largo nell’aria ancora densa di fumo, raggiungendo l’ingorgo vicino all’entrata. Una volta fuori, Sandra sbirciò incuriosita i due ragazzi: dovevano avere più o meno la sua età, forse qualche anno in più, specie quello che l’aveva aiutata sulle scale. L’altro era più alto, adesso si era cacciato un fazzoletto di tasca e cercava di ripulirsi da polvere e calcinacci meglio che poteva. «Sandra!» Sua madre le corse incontro, col figlio stretto tra le braccia. «Ma dov’eri? A un tratto non ti ho vista più.» Le accarezzò i capelli impolverati. «Amore mio, se non sapessi che sai cavartela da sola…» Guardò la via che portava a casa. «Su, andiamo, e speriamo di trovare il nostro palazzo ancora in piedi.» «Non vi preoccupate: le bombe sono cadute di là» le indicò un tale che abitava sotto di loro. «Vedete? 11 fumo viene da quella parte.» La donna socchiuse gli occhi e guardò. Si vedeva una grossa colonna nera salire su e più sotto altissime lingue di fuoco. Da quando avevano cominciato a bombardare gli americani, sulla città cadevano anche bombe incendiarie, che oltre a provocare crolli facevano divampare roghi spaventosi. «Chissà quanti hanno perso la casa, povera gente!» commentò qualcuno dietro di loro. «La casa? Chissà quanti sono morti!! Oggi è stato un inferno!» aggiunse qualche altro. «Va sempre peggio, vogliono levarci l’anima quei maledetti!» Sandra li guardò ammutolita. Non voleva più sentire parlare di morti, di bombe, di gente che piangeva. Lei aveva perso suo padre in quella brutta guerra. Erano passati mesi, ma il dolore le bruciava ancora. «Ti raggiungo subito, mamma.» «E perché? Dove vai?» «Devo fare una cosa!»
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