Corri più veloce del vento - Liliana D'Angelo

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Corri più veloce del vento
Siamo in Siria, dove imperversa ancora la guerra e Aleppo è una città fantasma, con le strade invase dalle macerie, i ribelli appostati a ogni angolo e la gente che muore di fame.
Samir vive con sua madre e sua sorella, il padre non c’è, è stato arrestato perché sorpreso a manifestare contro il regime e loro tirano avanti come possono, tra sacrifici, paure e privazioni.
Andrea è un giovane professore, è arrivato ad Aleppo dall’Italia come volontario e durante una missione umanitaria s’imbatte in Samir. Tra i due comincia un rapporto che col tempo diventa sempre più profondo, al punto che quando il bambino non trova più la sua famiglia, dispersa dopo un bombardamento che ha raso al suolo il suo quartiere, Andrea lo porta con sé, a Napoli. Qui per Samir comincia una nuova vita, piena di difficoltà, di delusioni, alla scoperta di un mondo tanto diverso dal suo ma a volte non meno insidioso.
Andrea e Samir appartengono a due universi lontanissimi eppure le loro anime si riconoscono e insieme tentano di tirarsi fuori dall’inferno, in un rapporto alla pari dove ognuno ha qualcosa da imparare dall’altro. Un rapporto che li porterà a scoprire le proprie fragilità, fino a quando capiranno che solo costruendo ponti tra sé e gli altri potranno superarle.
Incipit
Samir

Sto facendo un sogno bellissimo.
C’è tutta la mia famiglia, mamma, papà e Naima, e tutti insieme andiamo al mare.
Sembra proprio vero, uno di quei sogni che poi quando ti svegli non capisci se hai sognato oppure no.
Ora ve lo racconto.
È mattina, io e Naima ci svegliamo presto, senza fare storie come al solito, ma l’autobus che deve venire a prenderci arriva in ritardo, così troviamo la spiaggia già affollata e tutti gli ombrelloni delle prima e della seconda fila occupati.
Mia sorella subito mette il muso. Dice che vuole stare davanti, che dietro non può giocare con la sabbia bagnata e mamma non le permette di andare a riva da sola. Il bagnino si stringe nelle spalle e si ferma sotto un ombrellone in terza fila. O qua o niente, dice, mentre guarda due ragazze che scendono dalla passarella.
Mamma risponde: “Va bene” e papà prende il portafogli. Così ci sistemiamo.
Io non perdo un attimo.
Mi levo la maglietta e gli shorts e vado a tuffarmi. L’acqua è fredda, mi stringe in una morsa. Ma come? E’ quasi mezzogiorno ed è ancora fredda? Poi mi accorgo che il mare è agitato, ci stanno onde alte alte, mi sbattono qua e là come se fossi un pezzetto di legno, ma piccolo, leggero. Inghiotto un po’ d’acqua, mentre annaspo, agito le braccia e schiaffeggio le onde, però mi diverto.
E’ bello sentirsi sballottato, tanto non ti fai male, cadi di qua e di là, ma cadi sul morbido.
“Non andare oltre, con questo mare è pericoloso allontanarsi”
Papà mi ha raggiunto.
Le sue braccia forti si muovono lente, lui sa come fare per tenere a bada le onde, poche mosse giuste e resta a galla, si bagna la faccia, i capelli, qualche volta va pure sotto.
Lo so che è venuto perché l’ha mandato mamma, però non mi dispiace. Con papà mi diverto. Quindi che importa se per mamma sono ancora un bambino che va protetto? Ho dieci anni, ma per lei non sono mai cresciuto. Ancora viene a darmi il bacio della buonanotte la sera, ancora mi mette la colazione nello zaino, ancora mi dice quando sto per uscire: “Corri, Samir, corri. Fa’ che le tue gambe siano più veloci del vento”
Mi stampa un bacio in faccia e mi guarda con quegli occhi grandi che ogni volta si gonfiano di paura.
Lei non può venire con me. L’anno scorso si è trovata sotto le bombe, nella casa di una lontana parente. La casa è crollata, la lontana parente è morta e mamma per fortuna si è salvata, però si è bruciata la schiena e da allora non ce la fa a camminare tanto. Figuriamoci a correre. Si stanca prestissimo, si mette una mano sul fianco e si piega in due. Deve sedersi subito, dovunque, pure a terra se non ci stanno sedie, però deve farlo, altrimenti il dolore diventa insopportabile.
Ha dovuto lasciare anche il lavoro per colpa del mal di schiena. Faceva la parrucchiera in un negozio proprio bello, in centro, ed era sempre contenta, adesso sta a casa con mia sorella.
Naima prima andava alla scuola materna, la portava papà ogni mattina e poi l’andava a prendere alle quattro del pomeriggio, ma da sette mesi non ci va più.
Da sette mesi papà è stato arrestato.
E mica può andarci da sola, come me? Ha soltanto cinque anni, è piccola, e mamma ha deciso di tenerla a casa. Meglio ignorante che morta, ha detto un giorno alla signora Mosul, la nostra vicina, e quella si è annodata il foulard sotto il mento e ha fatto sì con la testa, segno che anche lei era d’accordo.
Perché da quando è cominciata questa brutta guerra, nemmeno a scuola si può andare tranquilli.
Ci stanno i cecchini appostati sopra i palazzi, quelli sparano al primo che passa, mica si mettono a controllare chi sei? Vedono un’ombra che si muove e bum! Se non corri veloce, sei fritto. Muori spiaccicato sulla strada. E gli altri ti passano addosso correndo, nella speranza di non fare la tua stessa fine.
Ci sono mattine che sparano poco, forse sono stanchi pure loro, forse hanno capito che siamo solo bambini che vanno a scuola, mica pericolosi nemici?
Non siamo armati, non spariamo, non nascondiamo armi dentro gli zaini o sotto le magliette.
Certe volte ci lasciano stare e certe altre no. E vai a sapere quando sarà la mattina buona!
In ogni caso non ti puoi mai dimenticare che stanno là e ti guardano, anche se non ti sparano.
Li senti addosso quegli occhi.
Ti forano la testa, la nuca, le spalle. Come pallottole invisibili.
Un rumore assordante mi sveglia.
Scatto a sedere nel letto, mi guardo attorno e attraverso le fessure della finestra vedo dei bagliori vicini. La casa ha tremato, la piccola luce nel corridoio si è spenta e si è fatto buio.
Ecco. Il sogno è finito. Addio mare, addio onde, addio papà che galleggia felice.
Sono a casa, è notte, il sole non c’è e nemmeno la luna. E’ buio pesto, ma quando cadono le bombe certe volte si accendono fuochi come fiammelle nel deserto.
Mamma ciabatta dalla camera affianco. Si affaccia alla porta.
“Samir, stai bene?”
“Si, e Naima?”
“Si è svegliata e le è venuto il singhiozzo, ora le porto un po’ d’acqua.” Esita, si morde le labbra, poi si decide a chiedermelo. “Vuoi venire a dormire di là?”
Devo essere proprio sincero? Lo vorrei tanto. Mi addormenterei sicuramente, mentre mamma mi accarezza i capelli e magari canta una delle sue ninne nanne, forse potrei perfino riacchiappare il mio sogno. Ma ho dieci anni. A settembre andrò in prima media. Se i miei amici sapessero che vado a dormire con la mamma…
“No, però vengo a prendere un po’ d’acqua anch’io”
Scendo a piedi nudi, la seguo in cucina, ci muoviamo nel buio ma sappiamo dove mettere le mani. Tante volte la corrente va via, ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Papà però prima di essere arrestato aveva comprato due luci portatili, così quando restiamo al buio, mamma le accende. Certo non possiamo guardare la televisione e ci annoiamo un pò, ma è meglio che niente.
“Spero che abbiano finito” dice mamma, sbirciando la strada deserta. “Sono le quattro. Magari queste altre due ore ci fanno dormire tranquilli”
La sento sospirare e già so che non è vero.
Anche se smettono, lei ormai non dormirà più. Starà nel letto con Naima tra le braccia e fisserà il soffitto al buio, senza riuscire più a prendere sonno, con le orecchie tese. Forse dirà qualche preghiera.
Chiederà a Dio di aiutarci pure stavolta.
Di risparmiare la sua casa, i suoi figli. Suo marito che sta in carcere.
A quel punto penso che le uscirà una lacrima. Quando si tratta di papà si rattrista sempre. Dice: “Vostro padre non è un delinquente, lui sta in carcere perché stava manifestando pacificamente per i propri ideali, per la libertà”
Si vede che è orgogliosa di lui, pure se sta in carcere, per mamma è un eroe. Uno che andava in piazza a gridare “Rispetto e libertà”, a sventolare bandiere, a scrivere sui muri senza paura.
Però un giorno l’hanno preso.

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