L’Albero dei desideri - Liliana D'Angelo

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L’Albero dei desideri
Questa è una storia di amicizia, di solidarietà e di confronto. Ma è anche una storia di silenzi e di violenza.

Uno dei protagonisti è Gerri, un ragazzo di periferia col motorino ammaccato, le partite di calcetto nel campo spelacchiato dietro casa. Gerri è vittima di violenza domestica, quella più abbietta, piena di verità taciute, di lividi nascosti e connivenza.

Anche Simona è una ragazza problematica. Frequenta una scuola prestigiosa e vive in una villa da sogno con una madre asfissiante e incapace di dialogo, che le impedisce di crescere. Sembra che non le manchi nulla ma in realtà è sola e triste.
Tutto cambia quando incontra Gerri e altri due coetanei che come lui vivono in un quartiere squallido, ai limiti del degrado. Con loro Simona conoscerà l’amicizia, l’amore, ma anche il dolore e il disagio sociale.

E presto capirà quanto la solitudine possa mettere all’angolo e quanto invece la solidarietà possa compiere miracoli. Perché nessuno può salvarsi da solo.
Incipit
Capitolo 1
Le undici e dieci. Alessandro guardò ancora una volta l’orologio, impaziente. Mancavano cinque minuti. Un’eternità.
«Facciamo un giro al parco prima di tornare a casa?» gli chiese Gerri.
«Per me fa lo stesso» rispose lui, alzando le spalle. Poi tirò fuori dal giubbotto un pacchetto di caramelle, ne scartò una e cominciò a masticarla mentre infilava di nuovo le mani nelle tasche del giubbotto e si dondolava da un piede all’altro, per cercare di arginare il freddo che dal marciapiede gli entrava nelle scarpe e poi su e su, tra gli strappi sfilacciati dei jeans a gelargli le gambe, fino a non fargliele sentire quasi più.
E pensare che solo una settimana prima sembrava che l’estate non volesse finire mai, e invece tutto d’un tratto era arrivata quella gelida ondata di freddo che aveva paralizzato l’Italia del centro e del Nord in una morsa di ghiaccio. Un piccolo assaggio d’inverno che non durerà a lungo, dicevano i metereologi alla tivù, invece quel freddo inatteso si sarebbe protratto per più di due settimane, lasciando poi spazio ad una breve tregua di aria umida e piovosa, prima di tornare, verso la fine di novembre, più iroso e pungente che mai. In seguito si sarebbe detto che quello era stato l’inverno più gelido degli ultimi venti anni.
Un’altra occhiata all’orologio e finalmente il suono della campanella riempì l’aria. Pochi secondi e i primi ragazzi cominciarono a defluire dal cancello della scuola, a gruppi, a ondate sfatte e corpose. Alessandro scrutò le loro facce: li conosceva quasi tutti; del resto, fino a qualche mese prima era stato uno di loro, terza D, aula in fondo a destra, corso di bilinguismo.
Una vita fa, se ci pensava, lontana anni luce da quella di adesso, fatta di altri banchi, di altre aule e soprattutto di un’altra scuola. Senza volerlo fece un grosso respiro al pensiero che adesso anche lui faceva parte di quel mondo un tempo così ambito e così a lungo atteso, e quel respiro servì a zittire quel sussurro di nostalgia che suo malgrado aveva sentito affiorargli dentro.
Eppure, dopo gli esami, era passato chissà quante volte davanti a quel cancello durante quella calda e indolente estate di città, ma non aveva mai posato gli occhi su quella vecchia costruzione dalle mura screpolate, non aveva mai sbirciato dalle finestre opache e spente dietro cui tanta vita si consumava ogni anno. Mai si era fermato a pensare e a riflettere e adesso che lo faceva sentiva che in fondo, ma sì, non erano stati poi così male gli anni delle medie e, a volerli ricordare tutti, c’erano giorni che avrebbe volentieri scambiato con quelli di adesso.
La testa multicolore di sua sorella spuntò tra la folla come un arcobaleno a tinte forti distogliendolo di botto dai suoi pensieri. Alessandro la osservò che attraversava la strada, scartando con noncuranza auto e scooter strombazzanti, col suo giubbotto troppo corto sui fianchi e le guance rosse. Sotto il berretto di lana gli occhi fendevano l’aria, irrequieti, poi intercettarono i suoi.
«È da tanto che aspettate?» chiese lei, sorridendo, non appena li raggiunse sul marciapiede.
«Qualche minuto» le rispose lui, voltandosi per recuperare il suo zaino dal muretto. «Ti va di passare per il parco?»
«Come no? Tu che fai, Gerri, vieni con noi?»
«Veramente l’idea è stata mia. Ciao, Lisa, è sempre un piacere vederti.» replicò il ragazzo, offeso dalla sua mancanza di attenzioni.
«E dai, non fare il permaloso e muoviamoci!» lo rimbeccò lei, sbrigativa. «Non vedo l’ora di godermi un po’ di sole, qui si gela!» Detto questo lo afferrò per un braccio e lo trascinò via. «Che fai, Ale, sogni ad occhi aperti?» domandò poi al fratello e lui con due falcate li affiancò, lasciandosi alle spalle i suoi ricordi.
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