Magica Europa - Liliana D'Angelo

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Magica Europa
Un ragazzo in fuga, un vecchio barbone, un anello dotato di poteri portentosi, questi gli ingredienti da cui prendono il via una serie di racconti tra l’avventuroso e il fantastico, che si snodano nello spazio e nel tempo in un’Europa ricca di fascino e di storia.

Grazie alla magia dell’anello, Manù si sposta dalla fumosa Romania del conte Dracula all’enigmatica Inghilterra di Stonehenge, dalla Francia rivoluzionaria all’Irlanda di folletti, principesse e streghe, passando attraverso la Germania dell’Inquisizione e la Grecia dei miti, fino a solcare a bordo di una slitta i ghiacciai della Lapponia.
Manù non è solo perché ad accompagnarlo in tutte le sue disavventure c’è Hans, un ragazzino che ha conosciuto durante il primo dei suoi viaggi nel tempo, quando l’anello l’ha spedito nel tardo medioevo, nel momento in cui Hans stava per essere bruciato sul rogo perché creduto eretico. Solo per un soffio Manù riesce a salvarlo e da allora i due diventano inseparabili. A cavallo dei capricci dell’anello andranno su e giù nel tempo e nello spazio conoscendo una girandola di personaggi e vivendo insieme a loro una serie di incredibili disavventure, fino all’ultima, la più speciale.
Incipit
Capitolo 1
Manù si gettò dalla finestra, superò il giardino e si infilò nel sentiero che correva dietro casa. Avrebbe fatto meglio a rimanere fuori tutto il giorno. Appena sua nonna si fosse accorta del guaio che aveva combinato sarebbe corsa nel capanno a prendere lo scudiscio. Già se lo sentiva sulla schiena, affilato, bruciante come fuoco vivo. No, questa volta non si sarebbe fatto prendere. Quella strega poteva sbraitare all’infinito fino a restare rauca ma non lo avrebbe trovato. Meglio che sfogasse la sua rabbia sui covoni di fieno, una serie di guizzanti scudisciate nella paglia calda e la sua rabbia che pian piano sfumava via, come vento stanco. Non lo aveva fatto mica apposta a rompere il vaso della trisavola Eufrasia, no? Era stata la sua solita, dannata fretta. Come sempre aveva fatto tardi per la scuola ed era corso in cucina con le scarpe slacciate. Lo zaino era lì, sulla sedia dove l’aveva lasciato la sera prima, due salti e l’aveva preso ma con la gamba aveva urtato il tavolo di cristallo. Il vaso era oscillato due o tre volte sempre più forte e prima che potesse afferrarlo era caduto. Lo aveva visto toccare il pavimento grezzo e spaccarsi in tre o quattro pezzi. Impossibile riattaccarlo, c’erano briciole dappertutto. E adesso? La vecchia teneva più a quel vaso che a tutto il resto della sua misera casa, quanto a lui, era già tanto che lo sopportava e gli dava da mangiare, visto che, diceva, era il frutto dell’amore scellerato di suo figlio per una donna che poi era fuggita con una compagnia di teatro itinerante.
Una radice di cedro che affiorava dal terreno per poco non lo mandò a gambe all’aria. Si fermò, aveva il respiro affannoso e le ascelle sudate. Si sarebbe nascosto sotto il ponte della statale, insieme ai barboni. Non voleva rimanere solo, se lo avesse fatto gli sarebbero venuti brutti pensieri: che suo padre poteva morire mentre riparava una grondaia o camminava lento lungo un cornicione o piantava chiodi sul tetto di una vecchia casa. A Manù non era mai piaciuto quel lavoro, troppo pesante per il suo fisico magro, troppo rischioso, da quelle altezze c’era sempre la possibilità che mettesse un piede in fallo e…
Chissà che faccia avrebbe fatto a non vederlo tornare, lui non l’avrebbe aspettato con lo scudiscio affianco al letto e un occhio allerta, come sua nonna, ma avrebbe misurato la stanza a grossi passi, con la testa tra le mani, o sarebbe uscito a cercarlo, nel bosco.
Eccolo il ponte, finalmente. Avrebbe aspettato là sotto che facesse buio. C’era sempre qualcuno accucciato tra le fogne puzzolenti e le travi di ferro arrugginite, qualcuno che da tempo non aveva più una casa. Barboni. Senzatetto. Manù li vedeva ogni mattina quando andava a scuola, si affacciava dal finestrino dell’autobus e guardava quei grovigli informi di stracci, braccia e cartone e pensava che in fondo la loro vita non era peggiore della sua.
A volte la propria casa piuttosto che essere un dolce nido può diventare un’odiata prigione, si diceva, specie se hai come unica compagnia una nonna bisbetica e rancorosa che non perde occasione per rinfacciarti quel piatto di pasta che ti piazza davanti, con un grugnito, e la colpa di essere nato.
C’era qualcuno, sotto il ponte, un ammasso di coperte e lamenti. Manù aguzzò la vista. Sì, c’era qualcuno, e non sembrava se la passasse molto bene. Con cautela si avvicinò. Non riusciva a distinguerne i tratti del viso e questo gli metteva paura. "Ehi, signore, tutto bene? Ha bisogno d’aiuto?"
Più si accostava sotto l’ombra scura del ponte, più sentiva puzza di birra, sudore e muffa. "Signore… mi sente?"
Finalmente la coperta si mosse svelando un braccio stecchito. Era nudo e pieno di peli bianchicci, sporco e tremolante. Manù si fermò. Quella visione spettrale gli impediva di continuare. Di nuovo quel lamento, più lungo stavolta, poi una testa spelacchiata che sbucava dagli stracci e sotto la testa due occhi rosso fuoco che lo fissavano. Manù fece un passo indietro, d’istinto, le gambe già pronte a schizzare via.
"Acqua…" farfugliò il vecchio "Acqua, per pietà…"
Doveva avere la gola riarsa. E poi, a guardare bene, non sembrava affatto pericoloso, non aveva nemmeno la forza di alzare la voce, figuriamoci le mani. "Vuole dell’acqua? Sì, aspetti, ce l’ho, non sarà proprio fresca, ma…" Manù si accovacciò a terra, aprì lo zaino e tirò fuori una bottiglia da mezzo litro di acqua. Gliel’allungò con circospezione, dopo aver provveduto a svitare il tappo. "La può tenere tutta. Io non ho sete".
L’uomo lo ringraziò con gli occhi e bevve avido una lunga sorsata. Un rivolo d’acqua gli colò lungo il mento, ma lui continuò a bere. Si staccò quando non ne restava che meno della metà. "Sei un caro ragazzo…che il Signore possa benedirti".
Manù sorrise, finalmente a suo agio, e tirò fuori dallo zaino la sua merenda. Aveva impiegato parecchio ad uscire fuori dal bosco e ormai era quasi mezzogiorno. Divise il suo panino col vecchio che lo mangiò lento, sbattendo le gengive senza denti, e poi si addormentò. Manù si allungò con la schiena sulla parete umida e si preparò ad aspettare che finisse quella lunga giornata.
Dormicchiò insieme al vecchio e ad altri due barboni stretti nelle loro case di cartone e si svegliò al crepuscolo. Si alzò, raccolse il suo zaino e si preparò a tornare a casa. A quell’ora forse la rabbia della nonna era sbollita.
Prima di andarsene si avvicinò al vecchio. Non si muoveva. Avvolto nei suoi stracci sembrava una bambola di pezza. Manù lo afferrò per un braccio e lo scosse dolcemente. Gli sembrava che non respirasse neanche. Si tirò dietro, impaurito. Forse era morto!
Si guardò intorno. Degli altri due barboni non c’era traccia, dovevano essere andati via prima che lui si svegliasse. Stava per mettersi a correre via quando il vecchio si mosse. "Ragazzo…" chiamò "dove sei, ragazzo?"
"Qui, sono qui…"
"Ormai non mi rimane tanto tempo… sto per andarmene… ma prima…" si sollevò un poco, a fatica, gli occhi restavano socchiusi, il respiro era appena udibile "<Prima voglio darti qualcosa. A me non serve più, ormai e tu…. " tossì e si coprì la bocca con la mano ossuta "tu mi hai dato la tua acqua e il tuo pane e voglio ringraziarti"
"Non è niente…" Cosa voleva mai dargli? I suoi stracci, forse?
Il vecchio si frugò addosso, poi nel suo palmo comparve un anello. Manù si accostò, incuriosito. Sembrava molto antico, era di metallo opaco e al centro aveva una grossa pietra chiara. Non poteva avere più valore di una cianfrusaglia.
"Questo anello è magico" bofonchiò il vecchio guardandolo negli occhi "Ha il potere di portarti lontano, nel tempo e nello spazio, basta che tu dica “Anello, anello, portami via” e in un istante sarai lontano mille miglia e anche più, nel tuo tempo o in quello più remoto". Allungò il palmo verso di lui affinché lo prendesse "Tienilo, è tuo, fanne ciò che vuoi."
Manù lo afferrò, incredulo. Quel vecchio doveva essere tutto pazzo. Un anello che viaggiava nello spazio e nel tempo? Ma quando mai si era sentito dire? Lo rigirò tra le dita. La pietra sembrò emettere uno strano bagliore.
"La pietra…" disse il vecchio "se ti tratterrai troppo a lungo muterà colore e se diverrà nera i suoi poteri svaniranno e niente potrà più portarti indietro".
Possibile? Manù era sempre più incuriosito. O quel vecchio gli stava raccontando un mucchio di fandonie o quell’anello aveva davvero poteri magici. Diavolo, quanto gli sarebbe piaciuto andarsene da casa e girare il mondo! Forse l’incontro con quel vecchio era un segno del destino… inutile stare a rimuginarci su, tanto valeva provare. Nel peggiore dei casi si sarebbe messo subito l’anima in pace.
<Prima di usarlo però c’è una cosa che devi sapere…> stava dicendo il vecchio, ma lui non lo ascoltava già più.
"Anello, anello…"
"Aspetta, ragazzo, devi ascoltarmi…"
"…portami via!"
Ci fu un vuoto d’aria, come un risucchio e … puff, il ragazzo non c’era più. Il vecchio ricadde con la testa sul petto. Non aveva fatto in tempo a dirgli come fare per tornare a casa.
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